CARDUCCI E LE DONNE


l complicato e turbolendo rapporto di Giosuè Carducci con il mondo femminile è stato il tema dell'incontro che ha aperto le celebrazioni per il centenario  della scomparsa del grande poeta. Protagoniste: l'amante Carolina Cristofori Piva, la giovane Annie Vivanti, la figura della regina Margherita. Sposato dal 1859 con Elvira Menicucci. Dal 1871, amante di Carolina Cristofori Piva, la Lidia delle "Odi barbare". Poi altri nomi femminili come Dafne Gargiolli, Adele Bergamini, Silvia Pasolini. Infine, già ultrasessantenne, una nuova storia con la giovane e spregiudicata Annie Vivanti. Il rapporto di Giosue Carducci con le donne è sempre stato turbolento, intenso e complicato. E non sono in pochi a riconoscere che questo complesso confronto del poeta con il mondo femminile sia stato anche tra le maggiori influenze e fonti di ispirazione per la sua opera. Giosue Carducci si è sposato nel 1859", racconta Marco A. Bazzocchi, docente di Letteratura Italiana presso l'Alma Mater, "ma per tutta la vita ha avuto rapporti con una serie di donne che hanno segnato profondamente non solo la sua biografia, ma anche la sua opera. Le lettere di Carducci a Carolina Cristofori Piva sono vere e proprie opere di letteratura. E lo sono anche le missive scritte più tardi ad Annie Vivanti". Mentre di queste due donne tanto presenti e importanti nella vita di Carducci si occuperanno gli interventi di Simonetta Santucci e Anna Folli, e mentre Paola Goretti ha parlato della dimensione estetica dell'epoca e della figura delle ninfe nell'opera del poeta, il Prof. Bazzocchi si soffermato invece sulla figura, più oscura sotto questo punto di vista, della regina Margherita. "In occasione della visita a Bologna dei regnanti Umberto e Margherita, nel 1878", spiega Bazzocchi, "Carducci scrisse un'ode per la regina. Pochi anni dopo, nel 1881, scrisse l'opera 'Eterno femminino regale' che parlava nuovamente di Margherita. A quel punto, Carolina Cristofori Piva era morta da poche settimane. Anche alla luce dei carteggi lasciati dal poeta, la mia ipotesi è che Carducci vedesse nella Regina la figura di Carolina. Un amore trasposto, dunque. Un sottolineare il mito della bellezza come fondamento non solo poetico, ma anche politico. Margherita come icona per un nuovo inizio della Storia italiana".

 

CARDUCCI MASSONE



Non si conosce la data precisa dell'iniziazione di Giosue Carducci alla massoneria, e a tale proposito, sono state formulate svariate ipotesi che è possibile esporre in ordine cronologico. Dopo la morte del poeta, è stato scritto e pubblicato che l'iniziazione del Carducci risaliva all'anno 1862, nella loggia Galvani di Bologna. Così sostengono, inter alios, la Rivista Massonica del 15 febbraio 1907, il Fratello Grande Oratore G. Albano, autore della commemorazione fatta dal Grande Oriente e dalle logge di Roma il 10 marzo dello stesso anno, l'Albo Carducciano, compilato da Fumagalli e da Salveraglio, nonchè la rivista massonica Acacia. Romeo Monari, nel suo Ricordando Giosue Carducci, osserva che il poeta afferma di essere stato fuori da ogni associazione segreta o no sino al 1860, e crede di vedere implicitamente ammessa in questa affermazione la sua appartenenza a tali associazioni non molto dopo il 1860. Ritiene pertanto che, per i riferimenti di respiro massonico, l'ode Dopo Aspromonte, composta nel 1862, sia stata letta nell'agape rituale susseguente alla sua iniziazione. L'iniziazione, quindi, secondo il Monari, sarebbe avvenuta a Bologna in una delle due logge petroniane di quel periodo, la Concordia Umanitaria e la Severa. Criticando la precedente tesi, ricorda che la loggia Galvani era sorta nel 1864 dalla fusione di queste due e che, nell'accurato elenco dei suoi iscritti, non figurava il nome di Carducci. La tesi del Monari venne poi ripresa dalla Rivista del Supremo Consiglio dei 33, Lux, n. 2, 1925, ed è condivisa anche da Alessandro Luzio, nel suo La Massoneria e il Risorgimento italiano. Nella rivista Lux (il n. 5 del medesimo anno), si legge invece che un vecchio massone bolognese, Salomone Sanguinetti, dopo aver narrato i particolari della fondazione di una loggia in Bologna nel 1860, dichiarava di ricordare che egli stesso non prima del 1862, ricoprendo la carica di cerimoniere nella loggia Galvani, aveva introdotto il Carducci per l'iniziazione nel Tempio dell'officina. Questa testimonianza confermerebbe la prima teoria esposta, incorrendo nelle critiche del Monari. Un'altra tesi è sostenuta nell'Edizione Nazionale delle Opere del Carducci (1940). Questa si basa sul ritrovamento in una piccola agenda, conservata a Casa Carducci, delle seguenti note autografe del poeta: Mi feci associare ai F. e fui fatto M. e segretario provvisorio (22 febbraio 1866), Andai alla loggia Felsinea. Pagai d'entrata, come Maestro lire 30, e 5 in acconto (1 marzo 1866). Commentando tali annotazioni, i curatori dell'Edizione Nazionale affermano: L'iscrizione del Carducci alla Massoneria, e precisamente alla Loggia Felsinea di Bologna, avvenne dunque solo nel 22 febbraio del 1866, e non già  1862 o 1863, come mostrò di credere Romeo Monari. Nella rivista massonica Acacia n. 6, 1948, Ugo Lenzi critica le tesi già esposte e ne avanza una nuova. Per quanto riguarda la prima e la seconda, sottolinea il fatto che negli elenchi e nei verbali della  Concordia Umanitaria, della Severa e della Galvani, il nome del poeta non risulta, e che la Severa e la Galvani erano logge di rito simbolico mentre il Carducci professava il rito scozzese e raggiunse il grado di Rosa Croce. Per di più, poichè il Carducci fu uno dei sette fondatori della loggia Felsinea nel 1886, data in cui la Galvani non aveva ancora cessato di funzionare, male si spiegherebbe la circostanza che egli, membro effettivo di una loggia, si adoperasse per la fondazione di un'altra. Per quanto riguarda la versione di Salomone Sanguinetti, Ugo Lenzi ritiene che i ricordi dell'anziano massone fossero annebbiati e confusi, come dimostrerebbe tra l'altro il fatto che, nella stessa lettera, descrive la nascita della Severa dicendo che si tratta della Galvani. A questo punto avanza una nuova versione, e cioè che il Carducci abbia ricevuta la Luce in una Loggia della Toscana (forse in una Loggia irregolare di Pisa, Livorno o Firenze) e sia venuto a Bologna già iniziato. In tal caso appare perfettamente probabile e verosimile che Egli abbia visitato la Galvani quando questa ebbe il noto periodo di splendore, e che il ricordo del Sanguinetti si riferisca appunto all'averlo, come cerimoniere, introdotto nel Tempio quale visitatore, ma non quale membro effettivo della loggia. Riferendosi alle annotazioni dell'agenda del Carducci del 1866, il Lenzi continua: Mi sembra che da queste note appaia sempre più verosimile che, iniziato altrove Egli sia rimasto apprendista e compagno per qualche anno e che la ripresa della sua attività  massonica, che divenne poi intensa, dati dal 1866 quando venne associato e fatto Maestro alla Loggia Felsinea. Anche Romeo Monari aveva scritto che qualche vecchio massone gli aveva riferito di aver sentito dire che Carducci ebbe dapprima contatti con logge toscane, pistoiesi o fiorentine irregolari, cioè non dipendenti dal Grande Oriente di Torino, e che effettivamente l'ode Dopo Aspromonte era stata composta in poche ore a Firenze, ma non li aveva d'altra parte ritenuti motivi sufficienti per sostenere l'ipotesi di un'iniziazione toscana del Carducci. Un'altra tesi è sostenuta da Carlo Manelli, in un articolo pubblicato sulla rivista massonica Lumen Vitae del marzo 1957. In tale contributo crede di poter sostenere che la tesi esposta dal fratello Salomone Sanguinetti sia in massima parte esatta, e che il poeta fu iniziato a Bologna, nell'anno 1862, nella loggia Severa e che ne uscì dopo un breve tempo. Successivamente aderì all'iniziativa del vecchio fratello Francesco Guerzi per la ricostruzione della loggia scozzese in Bologna: lo troviamo, infatti, il 22 febbraio 1866 nella Felsinea, insieme con numerosi altri colleghi universitari. Che il Carducci al tempo della fondazione della Felsinea fosse già  massone, secondo Manelli, è  provato pure dal fatto che il poeta, in quel periodo, firmò il diploma di Maestro di Francesco Magni col grado di Principe di Rosa Croce, il che presuppone una notevole anzianità  massonica. Certo è che nel 1866 fu fondata a Bologna ed entrò a far parte del Grande Oriente d'Italia la loggia Felsinea, che annovera Giosue Carducci tra i sette fratelli fondatori. Pochi atti esistono al riguardo, poichè la quasi totalità  del materiale relativo a quella loggia fu distrutto durante l'incursione effettuata dai fascisti (1924) nella sede massonica. Nel 1867 la loggia bolognese si ritirò dal Grande Oriente d'Italia, con sede a Firenze, per unificarsi al Gran Consiglio di Milano. Nel 1868 il Gran Consiglio Simbolico di Milano, nell'Assemblea Generale dell'Ordine, deliberò all'unanimità  la fusione col Grande Oriente d'Italia. Il rientro di alcuni fratelli, però, non era gradito: tra questi vi era Giosue Carducci, e pertanto la sua attività  massonica ufficiale si interruppe. Solo nel 1886, su invito di Lemmi, divenuto Capo Supremo dell'Ordine, venne affiliato alla loggia Nazionale-Propaganda Massonica. Tale officina, con sede a Roma, era stata istituita per dare affiliazione regolare a quei massoni che faticavano a frequentare i lavori nelle officine delle città  di residenza. Successivamente il Carducci fu investito del supremo grado 33 del Rito Scozzese Antico ed Accettato, e chiamato a far parte del Supremo Consiglio dei 33. Dopo la fondazione, nel 1866, della loggia VIII Agosto di Bologna, ne venne fatto membro onorario, e partecipò a qualche sua adunanza. Dal 1868 al 1886, pur non risultando iscritto ad officine bolognesi sotto l'obbedienza del Grande Oriente, il Carducci ebbe comunque diversi contatti con esse, come risulta dai verbali in cui si registrano inviti al poeta a tenere conferenze o commemorazioni. Quel periodo, in cui si susseguirono svariate Assemblee costituenti allo scopo di dare assetto unitario alla massoneria italiana, fu caratterizzato da contatti e riconoscimenti reciproci tra massoni di varie obbedienze, e ciò può spiegare forse i ripetuti inviti rivolti al Carducci e ad altri fratelli non ancora rientrati ufficialmente nel Grande Oriente d'Italia, ma nemmeno in sonno. Il Carducci risulta infatti tra i fratelli visitatori all'inaugurazione dei locali nel Palazzo del Podestà del Tempio della Loggia Rizzoli, nel 1883. Durante lo stesso anno, la loggia La Ragione di Milano fece pressanti richieste affinchè il poeta tenesse a Milano una conferenza su Garibaldi, ma sempre invano. Del 1884 fu la proposta di erigere un monumento in onore del fratello Ugo Bassi, valoroso martire della libertà , e Giosue Carducci venne scelto per redigere il manifesto pubblico, che fu però compilato da Aurelio Saffi e pubblicato alla fine del 1885. Il poeta toscano scrisse allora un'epigrafe tutt'altro che d'occasione a perenne memento di quel barnabita coraggioso e militante: Cittadino italiano e sacerdote di Cristo/ cadeva/ fucilato dalle milizie dell'imperatore austriaco/ per sentenza della fazione signoreggiante nel nome del pontefice romano. Nel febbraio del 1885 venne poi commemorato Federico Campanella, patriota e riorganizzatore della famiglia massonica italiana. Per la celebrazione erano stati interpellati anche Saffi e Carducci, che tuttavia declinarono l'invito. Nel 1886, ancora, si ebbe la solenne inaugurazione del Tempio della loggia VIII Agosto nel Palazzo del Podestà . Tra gli altri, intervennero Aurelio Saffi e Giosue Carducci, che furono proclamati membri onorari dell'officina. Fondamentale fu poi il ruolo del poeta nell'avviare alla massoneria un altro grande della letteratura italiana: Giovanni Pascoli. è la promessa rituale scritta dallo stesso Pascoli - documento proveniente dall'archivio dell'avvocato Ugo Lenzi di Bologna - ad attestare che, quanto meno per breve tempo, egli fu affiliato alla massoneria. Aderì alla loggia Rizzoli di Bologna il 22 settembre del 1882, anno della sua laurea sotto la guida del maestro Giosue Carducci. L'affiliazione del Pascoli, peraltro, sembra essere stata meramente formale, non facendo egli vita attiva di loggia. Fu suggestionato dai principi di solidarietà a cui aderivano i grandi umanisti del tempo. Tra i quali D'Annunzio, ma non militò nella massoneria probabilmente perchè voleva restare libero e giungere al successo con le proprie forze. Giosue Carducci morì, com'è noto, nel 1907. Gli studenti ed alcuni fratelli bolognesi vegliarono la salma rivestita delle insegne massoniche. Ai funerali solenni, contraddistinti da grande partecipazione sia popolare sia delle autorità , la massoneria italiana intervenne compatta. La loggia VIII Agosto allora inviò alle altre officine italiane una circolare che invitava a versare un contributo per un monumento al Carducci, ma fu duramente criticata dai giornali clericali, ed in particolare dall'Avvenire d'Italia. L'anno successivo, un gruppo di fratelli si staccò dalla VIII Agosto per fondare la loggia Giosue Carducci. Secondo l'Avvenire d'Italia, questa decisione aveva lo scopo di dividere i fratelli radicali e socialisti dai massoni non sovversivi, affiliati alla nuova officina. In realtà , la loggia Giosue Carducci non fu che una filiazione della loggia VIII Agosto, in quel momento eccessivamente numerosa. Sempre a quell'anno risale la fondazione della loggia bolognese Ça ira, officina molto democratica i cui aderenti erano, in larga parte, artigiani. Oggi, solo nella regione Emilia-Romagna, si contano quattro logge intitolate a Giosue Carducci.

 

GIOSUE CARDUCCI, UNA NAVE: CACCIATORPEDINIERE DELLA CLASSE POETI


Appartenente alla classe Oriani. Prese parte nel 1940 agli scontri di punta Stilo e Capo Teulada. Tra dicembre e gennaio 1941 effettuò bombardamento costiero di appoggio all' esercito in Albania, insieme ai caccia Alfieri e gioberti. Effettuò solo quattro missioni di scorta. Il 28/3/1941, durante l'operazione Guado, inviato con altre unità(tra cui l'Alfieri) ad assistere l'incrociatore Polo immobilizzato, fu colpito dal tiro delle navi da battaglia britanniche, le corazzate Warspite, Valiant e Barham, affondando poco dopo presso Capo Matapan.

Dati nave:

Varato nel 1936

tonnellate: 2320

lunghezza: 105,7 m

larghezza: 10 m

profondità : 4,3 m

potenza (c.v.): 48000

armamento principale: 4 x 120/50

armamento secondario: 2 x 37/54

armi minori: 8 x 20/65

siluri: 6

equipaggio: 173

velocità (nodi): 39

 

  

CARDUCCI E' UN CRATERE


Carducci è il nome di un cratere d'impatto presente sulla superficie di Mercurio, a 36,6° di latitudine sud e 89,9° di longitudine ovest. Il suo diametro è pari a 117 km. Il cratere è stato battezzato dall'Unione Astronomica Internazionale in onore del poeta italiano.

 

 

 

 

GIOSUE' O GIOSUE?


All'anagrafe gli furono imposti i nomi di Giosuè, Alessandro, Giuseppe: il primo perché il padre vi scorgeva un simbolo augurale, gli altri due in onore rispettivamente dell'avo materno e di quello paterno. Si può fugare ogni dubbio riguardo alla forma Giosuè invece di Giosue, anche se ancora oggi continuano a uscire libri con la forma Giosue. È vero che nella biografia del poeta scritta da Giuseppe Chiarini, è riportato l'atto di nascita in cui il nome è senza accento (G. Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci, Firenze, Barbera, 1935, p. 434: Giosue, Alessandro, Giuseppe Carducci ecc.), tuttavia Chiarini ha trascritto male. In effetti, dice di riportare l'atto di nascita del Carducci già pubblicato da Giuseppe Picciola nelle note al suo Discorso: Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1901 (ivi, p. 434), ma se si consulta l'atto di nascita riportato da Picciola si trova scritto: Giosuè, Alessandro, Giuseppe Carducci... (cfr. G. Picciola, Giosue Carducci, discorso letto nella sala del Liceo Musicale di Bologna, il dì XIII di Maggio 1901, Bologna, Zanichelli, 1901, p. 49). Correttamente Saccenti riporta il nome Giosuè (Mario Saccenti, in Carducci, Opere scelte, Torino, UTET, 1996, vol. 2, p. 11). Ad ulteriore conferma è possibile consultare la fotografia dell'atto di nascita di Giosuè Carducci nel volume G. Fumagalli-F. Salveraglio, Albo carducciano, Bologna, Zanichelli, 1909 p. 48 che riporta il nome Giosuè. Inoltre, i due studiosi scrivono a p. 45: «Occorre appena rilevare che sia l'atto di nascita, sia in tutti i documenti posteriori il nome del Poeta appare sempre scritto Giosuè, con l'accento nell'ultima, e così lo si pronuncia sempre in Toscana e così chiamavano lui i suoi familiari e gli amici. È vero che negli ultimi anni prevalse la forma più classica Giòsue, che si avvicina al latino Josue. Ma egli, almeno fino al 1875-1880, firmò sempre Giosuè; poi cominciò insensibilmente, non per deliberato proposito di cambiare l'ortografia e la pronuncia del nome, ma per trascuratezza grafica, prima a legare con un sol tratto di penna il nome al cognome e quindi a far servire l'asta iniziale del C anche come accento finale della e e finalmente a omettere addirittura l'accento. Ma che ciò non fosse fatto di proposito, lo provano le stampe rivedute da lui. Nei frontespizi delle Opere zanichelliane, fino al vol. XI il nome è accentato; col vol. XII (1902) si disaccenta; vedasi pure nei Bozzetti Critici (Livorno, 1876), a pag. 217, e in Opere, IV (1890), a pag. 113, dove egli, nelle Polemiche sataniche si nomina solennemente Giosuè. In ogni modo, questo, sia vezzo, sia negligenza o pigrizia grafica, è degli anni più tardi: e deve ritenersi come una leggenda quella, creata forse dopo la biografia del Chiarini che lo disaccenta, ch'egli volesse scriversi e farsi chiamare Giòsue». 

 

IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA


Fin dal 1902 Vittorio Puntoni, come Rettore dell'Università di Bologna, aveva avanzato presso l'Accademia svedese e lo stesso Re Oscar, la proposta del conferimento del premio Nobel al Carducci, di cui inviò tutti i volumi di prosa e di poesia. Ma gli accademici non ci sentirono. Fu il Barone De Bildt che nel 1904, come membro dell'Accademia di Stoccolma, propose il Carducci per il conferimento del premio Nobel. Nel 1906 lo stesso De Bildt, passato da Londra a Roma, tornò a ripresentare la candidatura di Carducci.

Recto della pergamena del Nobel per la letteratura

Verso della pergamena del Nobel per la letteratura

A lui si unirono il conte Ugo Balzani, presidente della Società romana di Storia patria, e il professor Jhoann Vising, rettore della Scuola Superiore di Gottemburg e illustre cultore di filologia romanza. Questa volta la candidatura del poeta italiano fu accolta dall'accademia svedese. La sera del 10 dicembre il barone De Bildt, prelevato all'Hotel Brun di Bologna dal marchese Giuseppe Tanari, prosindaco, si portò a casa Carducci, dove erano presenti il fratello Valfredo, le figlie Beatrice, Laura, Libertà, i generi Masi e Gnaccarini, i nipoti, Vittorio Puntoni, il prefetto di Bologna, il senatore Pasolini e la moglie, contessa Silviua, il marchese Nerio Malvezzi e pochi altri. Il poeta attendeva nello studio illuminatoi per l'occasione da grandi candelabri all'antica. La cerimonia (contemporanea anche nell'ora a quella di Stoccolma, in cui Re Oscar II, nella grande sala dell'accademia Reale, consegnava i premi Nobel ai vincitori) si svolse con grande semplicità che escludeva qualsiasi tono ufficiale.

Recto della medaglia del Nobel per la letteratura

Verso della medaglia del Nobel per la letteratura
Il poeta stese la mano all'ospite illustre, balbettando qualche parola. Il barone consegnò il telegramma inviato dal Re: "Felicitez de ma part Monsieur Giosue Carducci du prix Nobel qu'il a si bien merité". Poi lesse un breve discorso, in cui esaltò gli ideali che avevano sempre ispirato l'opera del poeta italiano: patria, libertà, giustizia. E a questi aggiunse, nel finale, gli ideali religiosi: " A noi uomini del nord, è caro - disse il barone De Bildt - il ricordo delle nostre chiese, rudi talvolta d'aspetto, come la chiesa di Polenta, ma simbolo per noi di pace, fratellanza e carità. La libertà però del nostro pensiero non si conturba sotto le volte gotiche, ed è perciò che abbiamo sentito che possiamo, senza venir meno alla nostra fede, stendere le mani in riverente omaggio verso Voi. La severità morale delle vostre liriche, la candida purezza nella quale sorge il vostro canto verso le alte cime, tutta l'austera semplicità della vostra vita sono pregi elevatissimi, davanti ai quali ci inchiniamo tutti, a qualunque religione o partito no apparteniamo. Sono doni divini, doni di Dio, che, sotto qualunque forma apparisca, è sempre lo Stesso, e da Lui imploriamo che continui a scendere sul vostro venerando capo la santa benedizione che si chiama amore ".

Il barone De Bild mentre legge il discorso di consegna del Nobel

Quando pronunciava queste parole - ricordava il barone De Bildt - il poeta assentiva e batteva tre volte la mano sul bracciolo dell poltrone, come per approvgare. Alla fine del breve discorso e disse: "Salutatemi il popolo svedese, nobile nei pensieri e negli atti". Non fu consegnata allora al poeta nessuna medaglia e nessun premio, che furono invece consegnati, quel giorno stesso, al ministro d'Italia a Stoccolma, e portati al Carducci tre giorni dopo dall'agente bolognese della Banca Commerciale.*

*(Resoconto tratto da M. Biagini, Biografia critica, 1976, pp. 875 - 877)