CENERI E FAVILLE


Sotto questo titolo Giosue Carducci, nell'edizione completa delle prime opere da lui curata, raccolse una massa extravagante di scritti pubblicati tra il 1859 e il 1901. Sono divise in tre serie   costituiscono i volumi V (1859-1870), VII (1871-1876) e XI (1877-1901) della prima edizione, e i volumi XXIII-XXIV della più recente edizione nazionale delle opere complete del Carducci. Ceneri e faville sono i «disiecta membra» della personalità carducciana e comprendono scritti in genere di piccola mole e di breve respiro, di argomento, di tono e di impronta disparatissimi, e alcuni di importanza quasi nulla: ma è noto che il Carducci fu gelosissimo conservatore delle proprie, anche se minime, cose. Ma il titolo sta tuttavia a indicare che il Carducci aveva piena consapevolezza del valore limitato di queste raccolte: molte ceneri, molte faville, nessuna delle quelli divenne gran fiamma, come invece accadrà nelle Confessioni e Battaglie. Fra tante «nugae» occupano un posto a parte, raggruppate in schiera seriosa e compatta, le molte relazioni pronunziate nelle adunanze della Deputazione di storia patria per le province di Romagna: il grande critico è assente, ma trovi l'espositore rapido e preciso, quella nettezza stilistica e quel ritmo pacato e sicuro che sono a lor modo fonte di piacere estetico. Tra gli scritti di materia letteraria va notato quello intitolato «Le odi barbare» (1877), che vuol essere una giustificazione della poetica «barbara» e una spiegazione di tale denominazione. Uno scritto politico che per il tono e la sostanza poteva di pieno diritto esser incluso nelle Confessioni e battaglie è «Una anno dopo, 21 gennaio 1872», un vero e proprio giambo ed epodo in prosa, in cui la partenza dei garibaldini in soccorso alla Francia è commemorata sul piano di un'evocazione epica, paragonata alla primavera sacra degli antichi, e si conclude con una sferzante requisitoria della diplomazia e della mentalità della borghesia italiana. Ma, in complesso, l'importanza e l'utilità di gran parte degli scritti raccolti in Ceneri e faville, sono prevalentemente documentarie.

CONFESSIONI E BATTAGLIE


Sotto questo titolo Giosue Carducci, nell'edizione completa delle sue opere da lui stesso curata, raccolse in due volumi i suoi più irruenti, vivaci e lampeggianti scritti di polemica politica e letteraria. Nell'edizione più antica essi rappresentavano i volumi IV e XII; occupano invece i volumi XXI e XXII nell'edizione nazionale delle opere carducciane (1935). Nei due volumi, che comprendono scritti le cui date si estendono dal 1869 al 1901, sono rifusi anche gli articoli e i saggi polemici già raccolti dal Carducci e pubblicati dal famoso editore Angelo Sommaruga col titolo appunto di Confessioni e Battaglie (la prima serie nel 1882, al seconda nel 1883, al terza nel 1884). La materia di questi scritti è disparatissima, sebbene essi si compongono senza sforzo attorno al loro punto focale che è la personalità del Carducci negli anni della sua trionfale e dittatoriale affermazione letteraria, che vanno dalla fragorosa fanfara dell'Inno a Satana alla sublimazione umanistica e apollinea delle Odi barbare. Furono veramente, quelli tra i tempi più eroici delle lettere italiane: tempi di tormentoso assestamento politico, sociale e psicologico, di tumultuosi umori divergenti, di fragorose affermazioni e battaglie letterarie, e, al lettore delle Confessioni e Battaglie, mai forse la libertà parve tanto disordinata e insieme tanto feconda. Al centro di questo panorama mobile e discorde sta non solo la poesia carducciana le cui affermazioni furono accompagnate dalle urla delle schiere avversarie, ma anche la personalità vivente di Giosue Carducci, atleta sanguigno, scattante, portatosi dalla penombra degli studi filologici sulla pedana agonale del giornalismo politico e letterario. Pronto alla zampata leonina, incapace di incassare in silenzio anche nei casi in cui il silenzio sarebbe stato la più efficace punizione per l'avversario, il Carducci ebbe il torto di occuparsi di troppe «mosche cocchiere» che davan noia al suo metaforico «rossinante»: in non pochi di questi scritti infatti la potenza e la violenza della pagina eccedono talmente sul livello del minuscolo avversario che questo si dissolve in pura ombra e il colpo appare vibrato nel vuoto: esempio l'articolo polemico Per un missionario, diretto contro un signor Mammoli che l'aveva accusato di scrivere «fra i vapori di bacco» e di aver infamato in cattedra la veneranda ombra del Parini. Tuttavia in scritti polemici di questo genere v'è una generosa ventata di spiriti battaglieri che sempre piace, ed estri e guizzi coloriti e potenti. A questo titolo, di un umore piacevolissimo, è la lettera aperta all'agente bolognese delle tasse (1893). Ma tali scritti non sono che il margine del nucleo centrale delle Confessioni e Battaglie, costituito dagli scritti sostanzialmente più memorabili e che contrassegnano i momenti tra i più agitati delle battaglie letterarie dell'epoca: la prefazione agli Juvenilia del 1880; le Polemiche sataniche (1869-1871); le prefazioni ai Levia gravia del 1881 e ai Giambi ed epodi del 1882, «Critica e arte» (1874), contro il Guerzoni e lo Zendrini; la vivace Novissima polemica (1878) in favore dello Stecchetti e del, come dicevasi in quei tempi «verismo»; Eterno femminino regale (1882); la violentissima polemica Rapisardiana (1881) e la prosa polemica Ça ira. Prose tutte che, felicissime in sede polemica, giovano anche a intendere più compiutamente l'intima natura della poesia carducciana e a ricostruire il complesso gioco degli umori e delle tendenze letterarie, politiche e culturali degli anni in cui esse furono scritte. I tratti più pittoresci rilevati e più moderni della personalità del carducci vanno cercati in queste pagine; molte delle quali sono tutt'altro che attuali: si leggano quelle sul costume critico in «Critica e arte», o gli accenni alla questione linguistica in Levia Gravia, dove il Carducci, in questa vieta discussione messa in voga dal Manzoni, appare proprio il critico dotato di criteri e gusti più scaltri, severi e moderni. La potenza e l'efficacia di queste pagine derivano dalla perfetta fusione di una felice e nervosa espressività polemica oltrepassa il piano della contingenza letteraria o d'altro genere per farsi battaglia ideale e di costume nel senso più alto della parola. Nessuno forse, infatti, se si eccettui Il Desanctis, sentì così intensamente come il Carducci l'immanente e feconda e necessaria «socialità» e umanità delle lettere.

EPISTOLE


Le Epistole ancor più che la poesia sono specchio fedele dell'animo del poeta e spesso confessioni rincorrono confidenze, segreti di una quotidianità spicciola si alternano a notizie sul proprio lavoro e non di rado si assiste a dichiarazioni di poetica e giudizi letterari e morali. L'ira contro grama vita giornaliera esplode i una lettera del 4 Maggio 1857 all'amico Chiarini: "... io porca bestia vilissima laidissima, non degno certo di voi. Meglio è morire: spaccarmi il cranio o buttarmi in un pozzo non posso, perchè non ne ho il coraggio: io piglierei veleno: ma se non ho neppure un picciolo da comprarlo!" . A volte scrive agli amici sui propri versi come per Del Canto alle Muse, ovvero della poesia greca e per annunziare l'edizione delle Rime. Bagliori della letteratura e della storia civile italiana del secondo Ottocento, illuminano suoi scritti. Il tutto è avvolto da un temperamento animoso e tenero capace di veemenze e corrucci fulminei come di riparate meditazioni e pronti recuperi. La letizia scherzosa non di rado cerca di celare la mestizia di cui in alcuni frangenti si nutre il cuore del poeta ma questa operazione somiglia ad un vano rincorrersi di onde: "Mi sfogo a dire sciocchezze, ma il mio cuore è triste. Ormai si può morire; dico noi, non lei e quelli dell'età sua." Certo l'esperienza fondante che emerge dall'epistolario è quella amorosa e in particolare la sua love story con Lidia al secolo Caterina Cristofori Piva. Anche in tali scritti emerge compiutamente il suo temperamento nella pienezza e varietà di tutti i suoi registri. Le lettere a Lidia sono anche una guida e un commento alla sua poesia. Il carteggio inizia nell'estate del 1871 con delicata riservatezza ma pian piano nei cuori dei due corrispondenti si insinua una certa familiarità che poerta ad abbandonare il troppo formale "lei" per il più confidenziale "tu" e che li spinge ad un incontro. Lidia diviene sua musa ispiratrice e il Carducci le invia una delle Primavere Elleniche (la Dorica). Nell'Idillio amoroso il Carducci vede nella donna bellezza, grazia, tenerezza, ingegno e si dice ammirato che queste qualità possano concetrarsi in una sola persona. Questo amore che gli appare predestinato cozza con la sua realtà familiare, con la fedele e silenziosa signora Elvira, che sa tutto e non può che mostrargli la sua gelosia. Egli non può tacere i suoi tradimenti anche se vorrebbe conciliare le due situazioni. Brucia d'amore per Lidia ma vuol bene alla moglie è un contasto insanabile tra amare e bene velle. All'amata egli si rivolge anche per opinioni critico- artistiche approfittando del suo del grande ingegno critico e di suggerimenti e consigli. In una lettera del 28 Maggio 1872 ove segna anche l'ora in cui scrive (le 21) non crede che ella lo ami così tanto da scrivere "queste cose celesti". A questo proposito Francesco Flora dice:"È l'esaltazione d'amore, in cui l'amato annulla se stesso nella persona della donna, e in tal modo nell'umiltà si esalta e si bea adorando anche se stesso in lei.[...] Questa esaltazione è dovuta anche alla mancanza di un rapporto continuo con la donna ch'egli è costretto a vedere soltanto a distanza di mesi. [...] Veramente il Carducci, nell'età adulta, ama come la prima volta che l'uomo si accende d'amore". Ma ogni grande amore che si rispetti è condito di gelosia ed egli confessa subito questa sua pulsione e comincia con sospetti, accuse, ritrattazioni, nuovi rovelli. La donna non può tacere e ritrattare le sue mancanze e così facendo si abbandona alla tempesta che sconvolge il cuore del poeta e che gli fa pronunciare parole dure e sprezzanti. Ma la quiete della passione che tutto placa effondendosi porta al cuore del poeta una dolce stilla di miele, ma egli non può rimarginare la ferita ancora aperta. I rapporti fra i due conoscono una fase di stanca segnata dall'utilizzo del "voi". Ci sarà una fase di riappacificazione segnata dal ritorno al "tu" ma quando ormai i rapporti tra Lidia e il poeta si erano deteriorati ella si reca a Bologna dove morirà . Il poeta ne segue l'agonia e soffre di un dolore indicibile, ella l'aveva certamente amato nonostante il suo carattere volubile. Il Carducci aveva confidato tutto se stesso alla sua musa, anche il letterato oltre che l'uomo. Un altro tono hanno le lettere ad Annie Vivanti. Egli già avanti negli anni anni ha potuto godere della fresca quanto spericolata giovinezza di Annie ella ormai sposata e con una figlioletta arrichisce il dolce e tenero ricordo della malinconia del trascorrere degli anni dietro cui si cela la morte. Le scrive dolcissime parole adombrate di malinconia da Madesimo dove spesso si erano incontrati e avevano vissuti splendide avventure: "Qui tutti ricordano te, i luoghi, le persone, le bestie; e tra queste io sopra tutto. E sto male, e son pieno di malinconia, e di noia, e vo a letto. E aspetto tue nuove. Io sono per te qual tu sai e qual fui sempre". Non di rado la veemenza epistolare del Carducci può far sorridere ma essa è una componente del suo modo di essere e di scrivere ed è una prova ulteriore se ancora ce ne volessero della schiettezza di tali prose. Dice il Flora:"...sincerità che è ad un tempo rispetto della parola e rispetto sociale".